Ortigia in (più o meno) 10 bocconi

pranzo al mercato di Ortigia

pranzo al mercato di Ortigia

Ortigia, il centro storico della gloriosa Siracusa una volta abbandonato, sta ritornando ai fasti del passato grazie al turismo. Un turismo abbastanza informato, curioso, appena inquinato dal turistame che si riversa in piazza Duomo e per le vie principali nei giorni d’estate.

Ortigia è riuscita a mantenere una sua autenticità anche nel settore enogastronomico, che giovani imprenditori ed artigiani hanno saputo far incontrare con l’innovazione e l’eleganza di piatti e ambienti. Questo NON vuol dire che a Ortigia si mangi bene dappertutto: anzi, proprio in uno di questi ristoranti partner del turismo di massa in pieno centro (inizia con K) mi hanno servito – col sorriso – probabilmente la cena italiana peggiore di tutta la vita. Ma è anche vero che citando solo 10 posti o poco più farò torto a tanti bravi operatori del settore che meriterebbero attenzione e menzione.
Ma tant’é, una cernita bisognerà pur farla e quindi… andiamo a cominciare l’elenco, frutto di sei settimane di attenta e gradita ricerca nell’Ortigia in 3B, bella buona e brava. Che vitaccia.

Rosticceria: Arancino di riso. Senza dubbio alcuno: bar Midolo, poco fuori Ortigia, sul Corso Umberto I, mangi in piedi e porti via la felicità (forse è per questo che sorridono poco!).
Rosticceria-pasticceria: provate la Siciliana (pizza fritta con formaggio tuma e alici): pasticceria Artale, via Landolina, una traversa di piazza Duomo.
Sia Midolo che Artale sono due luoghi frequentati da indigeni e quindi esteticamente non si fanno notare, ma in compenso producono cibo di grande qualità. Ad Artale fossi in voi ci andrei anche a colazione, condividendo spazio e tempo dei siracusani veri, cannoli e paste di mandorla inclusi.

Ristoranti: tutti quelli citati hanno pochi coperti e grande passione.
Ristorante bistrot: Le Vin de l’assassin, a Via Roma, quasi sul mare. Un mix siculo-francese, praticamente perfetto, anche come ambiente.
Ristorante “nèo bistrot”: Gut, siciliano e minimale, nei locali del miglior piccolo albergo d’Italia, il Gutwoski di Ortigia, sul lungomare.
Ristorante piccolo e sincero, vincitore del premio qualità/prezzo: A putìa della cose buone, via Roma, 8, (quasi piazza Archimede). Tutto ottimo, ogni volta.
Ristorante vegetariano: Le Comari, tre titolari/cuoche molto creative e capaci, in una piccola piazzetta (piazza San Giuseppe a pochi passi dal mare.
Cibo al mercato: i tavolini dei fratelli Burgio, proprio dove inizia il mercato con i loro taglieri di mare e terra. E, ovviamente, dalle 8 alle 13, andate al mercato e acquistate a piene mani.

Gelati e granite: a Via Roma, c’è Gusto, di fronte all’ingresso per la piazza del Duomo. Piccolo, pochi gusti, ottimo, voto 10 (soprattutto da quando mettono meno zucchero) e pure la lode per la gentilezza e la simpatia.
Pizza: Sicily via Cavour. Un napoletano non consiglia mai la pizza fuori napoli… ma visto che prima o poi si finisce per mangiarla, allora andate qui perchè hanno delle interessanti variazioni sul tema, a lievitazione lenta.
Cibo e musica: a via Roma, c’è il Moon, che è anche ristorante vegano. Mi ha regalato serate di musica live indimenticabili, dalla lirica, al jazz. Sono l’anima di Ortigia.

Aperitivi (ma anche cena): Clandestino, che mi ha fatto scoprire il Kaid (rosso) vendemmi tardiva.
Menzione speciale: Corrado e la velocità con cui prepara a pochi euro semplici e gustosi panini a prezzi irrisori nella salumeria di famiglia (via Roma, quasi sul mare).

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Viaggio in Italia: tornai al Sud e mi piacque assai.

Il Vesuvio era ancora là...

Il Vesuvio era ancora là…

Non so se questa sia un’Italia in 3B (bella, buona e brava) al 100%, ma di certo è un’Italia vera. E vale la pena scriverne.
Quest’anno per le vacanze ho deciso di scendere verso Sud in sella alla mia fedele Yamaha 250. Volevo sentirmi viaggiatore come Goethe (leggi: Viaggio in Italia, 1829) e un poeta come Fiorella Mannoia (ascolta: Torno al Sud, 2012). Alla fine ho finito per essere molto me stesso.  E ho deciso di condividere, spero senza retorica, le mie sensazioni.

Partenza da casa, Napoli… 100 città in una, la fragilità del tufo giallo a reggere il peso di 2.700 di storia e dominazioni e rivoluzioni stratificate e visibili, tangibili nella gente che vive nei vicoli e nella piazze in maniera autentica, un po’anarchica, ma comunque sempre vera.

Metropolitana di Napoli, fermata Toledo, un tocco di modernità (foto: H. Rice, 2014)

Metropolitana di Napoli, fermata Toledo, un tocco di modernità (foto: H. Rice, 2014)

Un luogo a sè, un mondo a parte, incomprensibile ai più, anche a chi, come me, ci vive praticamente da sempre.

Però ditemi: quale altra città vi offre la possibilità di fare kayak lungo una riva costellata di ville dell’ottocento, borghi di pescatori e ruderi della Roma antica; di visitare l’ultima fabbrica artigianale di guanti di pelle; di imparare le tradizioni musicali ballando in un vicolo chiamato Pazzariello; di scendere sottoterra e visitare gallerie e navigare in antichi acquedotti; di inciampare in pieno centro in pizziche e tammorriate come cento anni fa; di mangiare dove mangiano gli indigeni e non mandrie di turisti? Il tutto magari alloggiando in un ex casa colonica immersa nel silenzio o in un ostello ex convento, a due passi dal centro?

Da qui si parte. Già al casello della autostrada Napoli- Pompei – Salerno, una prima soddisfazione, in realtà un primo sospiro di sollievo. Ho scoperto che, per fortuna, il sito ufficiale del governo “Italia.it” si sbagliava! E infatti il Vesuvio non l’avevano spostato “alle spalle di Napoli” (come riporta il sito più pagato al mondo: “nel cuore dell’arco Napoli, con l’imponente Vesuvio alle spalle”) ma invece quel bel vulcanone era ancora li’, di fronte a Napoli, dove lo avevo sempre visto. Meno male, va, una buona notizia ogni tanto!

Una volta abituati al calore degli automobilisti italiani che in autostrada amano sorpassare le moto a pochi centimetri di distanza per farvi sentire tutto il loro affetto (kitémmuortt’), potete uscire a Castellammare e godere, dopo qualche chilometro, della penisola sorrentina e della costiera amalfitana. In particolare io ho approfittato dell’ospitalità

La vista dal ristorante La Strada a Praiano

La vista dal ristorante La Strada a Praiano

di alcuni amici per godere di Positano e della spiaggia del Fornillo. E poi la sera ho cenato molto bene a Praiano al ristorante La strada, con una vista incredibile del tramonto sul golfo, un rapporto prezzo qualità decisamente positivo e un personale molto gentile e professionale.

Il giorno dopo ho ripreso la rotta per il Sud, percorrendo tutta la costiera amalfitana ( SS163, take it easy, che sennò fate un frontalone) fino alla splendida Vietri sul mare dove ho ripreso l’autostrada Salerno-Reggio Calabria finalmente a livelli accettabili dopo oltre 60 anni di bestemmie, uscendo all’uscita Lagonegro.

Qui ho svoltato verso il mare, prendendo il Fondovalle del Noce (SS585), una strada che vi porta fuori dal mondo tra fiumi, boschi campi lussureggianti, in Basilicata. Una volta arrivato sul Tirreno e girate verso sinistra (SS18), cioe’ a Sud, lo scempio urbanistico ai danni della incantevole riviera dei cedri vi farà ricordare di quando i calabresi locali persero il senno e il buon senso per una trentina d’anni permettendo a una cricca imprenditoriale- politico-camorristica-‘ndranghetista di attentare a una costa di incomparabile bellezza di cui per fortuna è ancora possibile godere. Chiudete gli occhi ai vostri figli, se ne avete, attraversando Scalea: il mondo è molto meglio di così.

Io mi sono fermato da amici a Belvedere Marittima, che mi è parsa meglio messa e ho fatto uno splendido bagno in un piccolo lido all’ingresso delle città, tra locali e napoletani abituè molto per bene.

Il giorno dopo ho proseguito verso sud, riprendendo poco più giù la Salerno-Reggio Calabria, alla volta dello Ionio. Uscito a Rosarno, eleggibile tra i più brutti non luoghi al mondo e con il cassiere del bar della stazione tra i più scortesi d’Italia, per attraversare l’Aspromonte (SS682), diretto alla riviera dei gelsomini in particolare.

Calabria, non solo mare

Calabria, non solo mare

Quando siete in Calabria, ricordate di camminare con la testa in su. Nel senso che, per ogni brutto centro abitato moderno sul mare ce ne e’ uno generalmente meglio tenuto nell’interno (e meno male!). La riviera dei gelsomini è un’infinita striscia di spiagge per lo più libere, interrotta in coincidenza dei centri abitati, da accoglienti piccoli stabilimenti balneari, che vi fanno dimenticare il troppo cemento che c’è intorno e i nomi di località che una volta suonavano di storia gloriosa (Locri, Gerace,…) e per troppo tempo hanno risuonato di storia penosa di cronaca nera (ma finirà, deve finire!). Come baricentro potete scegliere l‘agriturismo Paola di Marina di Gioiosa Ionica, dove mi sono fermato più volte e ho fatto bene, perché i proprietari sono persone squisite e cucinano molto bene. E poi, come consigliato in un mio post precedente, avete due tappe gastronomiche nella piazza plebiscito di Gioisa Ionica: la pizzeria Santa Caterina e la pasticceria Pisciuneri, dopo potete mangiare ottime paste di mandorle e il famoso pezzo duro, gelato a tre gusti al quale da queste parti dedicano anche una sagra20140813_224007.

Sono molte le cose da fare da queste parti, tra archeologia e natura e, se siete attenti potreste anche finire per godervi un tramonto al lido Blue Tango di Caulonia a godervi un aperitivo concerto live del cantautore Fabio Macagnino, famiglia originaria di qui, nato in Germania e qui ritornato (mettete questa in sottofondo, aiuta) per trovare e cantare le sue origini.

Qualche giorno dopo, saturo di iodio e amicizia, ho percorso tutta la riviera dei gelsomini (E90) in direzione di Villa San Giovanni, per imbarcarmi alla volta della terra di mio nonno, la Sicilia. Passare Capo Spartivento in moto è emozionante, perché sparte il vento e il deserto… e tutto è reso più surreale da tristi insediamenti umanoidi che hanno mortificato, anziché esaltarla, la bellezza assoluta di questi luoghi.

Il passaggio traghettato in Sicilia, dove “ne è arrivata di gente senza il ponte” – come dicono quelli di Siculamente – e’ emozionante, ma lo e’ ancora di più riposarsi in una

L'Etna e il mare di limoni da Palazzo Giovanni, Acireale

L’Etna e il mare di limoni da Palazzo Giovanni, Acireale (foto: A. Corbino)

dimora storica come Palazzo Giovanni ad Acireale, all’ombra del fumante dio Etna, circondati da un mare di limoneti e di mare. Lì sono prodoghi di consigli, tutti azzeccati, incluso quello di mangiare la sera a Santa Maria la Scala, da Carmelo. E poi da li’ ci si arrampica fino al rifugio Sapienza, e si fa tappa (dio li benedica) alla pasticceria-rosticceria Russo di Santa Venerina.

Pecorrendo la statale (SS114) in direzione di Siracusa ho fatto tanto alla città di Augusta che diede i natali a mio nonno, e ne ho constatato con amarezza il totale abbandono. Ma anche qui una buona notizia: da poco ha riaperto il museo della Piazzaforte ideato e voluto dal mio adorato e compianto zio Tullio Marcon, suo primo direttore. Almeno questo. Riposa in pace, finto- burbero Tullio, che la terra ti culli come il mare cristallino in cui nuotavi ogni giorno al circolo ufficiali della MM.

Ortigia, non solo bianco: un cortile fiorito (foto: A. Corbino)

Ortigia, non solo bianco: un cortile fiorito (foto: A. Corbino)

Dire che Ortigia lascia senza parole per la bellezza vera e accecante è cosa scontata, ma cosi è… e poi ho avuto il privilegio di cenare all’aperto in una piccola corte, invitato da un amico tunisino che fa il mediatore culturale,  in casa di una famiglia sri lankese. E di dormire all’hotel Gutowksi, che è l’Italia come dovrebbe essere.

La Sicilia si è svelata nella meraviglie delle sue calette della riserva del Plemmirio, dell’oasi di Vindicari e delle zone circostanti, Mediterraneo a perdita d’occhio. E ho ritrovato Marzamemi, con la ex tonnara, che sembra quasi chiusa a difendersi dalla volgarità delle bancarelle che la circondano assediata da una moltudine senza forma, mentre all’interno protegge i suoi pescatori-commercianti e piccoli ristoranti (il raffinato Cortile Arabo e lo street food di “Sicilia” provati e piaciuti) negozietti che trasudano passione e creatività.

La chiesa di San Giovanni a Scicli

La chiesa di San Giovanni a Scicli (foto: A. Corbino)

E ancora più sorprendente la provincia di Ragusa, che è la scenografia di MontalbanoSono, con i palazzi di Noto, e ancor più la nobile Ragusa Ibla, ma anche Scicli e la sorprendente Modica, patria del cioccolato lavorato a freddo e i giardini incastrati tra le case come nei paesi arabi. Tutto un po’ decadente, ma molto vivo, insomma, tutto molto Sud.

E poi ancora spiagge che resistono quasi intatte al turismo di massa e ancora le campagne assetate che rivelano la loro generosità ad ogni curva e resistono, coperte di serre, nonostante l’assurdità delle politiche europee Unione Europea.

Gaia Ferrara e Salvatore Lupo davanti alla targa appena posta dall'amministrazione comunale di Porto Palo di Capo Passero (foto: A. Corbino)

Gaia Ferrara e Salvatore Lupo davanti alla targa posta dal Comune  di Porto Palo di Capo Passero (foto: A. Corbino, 2014)

E poi Porto Palo di Capo Passero, la punta più a Sud d’Italia, isolette escluse, con una piazza aperta sul mare aperto che da questo agosto ha una targa che ricorda chi in questo mare ci muore per cercare miglior vita, grazie al coraggio di Gaia che ha pedalato dalla Puglia fin qui e al suo progetto.

Infine, prima di prendere il traghetto di ritorno, una visita alla nobile Catania, che ricorda Napoli in piccolo, ché anche lei ha il vulcano, il mare e il cibo buono e dove potete provare a portarvi via tutti i sapori della Sicilia in una delle pasticceria del centro e al ristorante I Crociferigentili e professionali come pochi.

Ecco, tutto questo è il Sud che ho visto e vissuto io, colto e ignorantissimo, imprenditoriale e indolente, intatto e violato, burbero e gentilissimo, elegante e accattone, solidale e vigliacco, ma comunque sempre vero, in questa sua esistenza in bilico perenne, terra di eterna contraddizione e lotta tra i pochi, rumorosi Caino e i tantissimi, umili e silenziosi, Abele.

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L’ape car pizzeria: lo street food in 3B

La colorata Ape Car di Johnnypizzaportafoglio

La colorata Ape Car di Johnnypizzaportafoglio (foto: A. Corbino – UCMed)

Ma che soddisfazione, da italiano, da amante delle cose belle e dell’iniziativa imprenditoriale, quando si incontrano idee leggere e vincenti come questa.

Ah, mo’ sì! Ecco a voi l’Ape car pizzeria ideata dall’imprenditore napoletano Giovanni Kahn della Corte sotto il marchio “Johnnypizzaportafoglio“. Questa volta non ci può essere dubbio alcuno: l’Ape car pizzeria mette davvero assieme il meglio del nostro Sud: creatività, eccellenza gastronomica, pragmaticità.

Giovanni Kahn della Corte ha messo un vero forno a legna per pizze su un’Ape car, triciclo a motore molto amato ed utilizzato ancora oggi nelle campagne e nelle località turistiche italiane, lo ha colorato e lo ha affidato a dei giovani e abili maestri pizzaioli napoletani, che usano solo prodotti locali di prima qualità.

Le ape car pizzeria propongono un take uè (il take away alla napoletana) di fritti e pizza a portafoglio, che è la maniera tipica di chiudere  e di mangiare la pizza da asporto a Napoli.
E’ una maniera intelligente e innovativa di portare il sapere napoletano e i sapori della Campania nel mondo, utilizzando spazi ridottissimi e senza rinunciare alla qualità, alla forma e alla sostanza originaria della pizza napoletana, lo street food più copiato al mondo. Ogni esemplare, può essere personalizzato e spedito al mittente con le caratteristiche richieste, valorizzando non solo il brand del compratore ma anche esaltando la creatività napoletana.  Un successo assicurato, come stanno già provando le vendite dei tanti esemplari unici prodotti ad oggi.johnny pizza

Un doveroso e sentito plauso, quindi, a Giovanni Kahn della Corte che con il marchio “Johnnypizzaportafoglio” ha dimostrato che “l’eccellenza si fa (in) strada” e ha saputo quindi valorizzare, ancora una volta nella sua carriera di manager della ristorazione, quanto di meglio c’è a Napoli e in Campania, rafforzando così l’immagine dell’Italia in 3B: bella, buona e brava.

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Sicilia: 5 esperienze gastronomiche da non perdere

Durante i miei 10 giorni di passione gastronomica in giro per la Sicilia Orientale, mi sono ripromesso di scrivere esclusivamente di quelle esperienze che mi avrebbero veramente colpito, perchè superiori alla già altissima qualità media di questa stupenda regione.

Di seguito la mia personalissima top five (in ordine sparso):
Catania, in pieno centro: ristorante I Crociferi. Chi l’ha detto che la cucina regionale debba essere sempre rivisitata e proposta in mini porzioni che non le appartengono? Qui ho potuto gustare dei deliziosi ravioli alla cernia, delle gustosissime sarde alla beccafico e un tenerissimo tonno con cipollata. E per chiudere: sorbetto al limone e frutti di bosco. Servizio e ambiente impeccabili, professionialità ai massimi livelli. Prezzi a dir poco convenienti.

l'antica cassata siciliana secondo la pasticceria Prestipino

l’antica cassata siciliana secondo la pasticceria Prestipino

Catania, forse scontato per i catenesi: pasticceria Prestipino, in piazza Duomo. Spettacolare granita di gelsi, ottimo cannolo (di latte vaccino) e, sorpresa, qui potete gustare la cassata secondo la ricetta che si utilizzava prima che in Sicilia arrivasse il frigorifero. Servizio veloce cordiale e prodigo di spiegazioni.

Santa Maria la Scala, frazione di Acireale (Ct), ristorante Scalo grande da Carmelo, a picco sul porticciolo. Un antipasto misto di mare che vi farà capire il gusto vero del pesce appena pescato. Prezzi coerenti alla qualità dei prodotti e del servizio.

I dolci della pasticceria Russo

I dolci della pasticceria Russo

Santa Venerina (Ct) ai piedi dell’Etna: Pasticceria Russo. Semplicmente indescrivibili le antiche vetrine piene di dolci, la bontà di cannoli e arancini (!!!), la signorilità dei titolari, ormai giunti alla terza generazione.

Marzamemi (Sr). Nella storica tonnara c’è un micro locale che propone cibo da asporto, da gustare sui tre tavolini azzurri antistanti. Si chiama semplicemente Sicily. Cercatelo e chiedete al cuoco-titolare le trofie alla Sicily e l’arancino al nero di seppia. E poi mi direte se ho ragione.

Ringrazio questi artigiani della gastronomia che, con la loro professionalità e la loro passione, contribuiscono non poco a portare in alto l’immagine di una Sicilia in 3B, bella. brava e buona.

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A Ortigia il miglior piccolo hotel d’Italia

logo-gutowskiIl miglior piccolo hotel d’Italia. Almeno secondo me. E l’opinione di tanti amici e colleghi italiani e stranieri che ci hanno soggiornato non differisce di molto.
Avete presente quel vecchio sketch del gruppo di cabaret “La Smorfia” intitolato “La fine del mondo” in cui Massimo Troisi cerca di imbarcarsi sull’Arca di Noè (Lello Arena) spacciandosi per vari animali ed Enzo De Caro (Cam, figlio di Noè) gli risponde “già ci stanno!”, lasciando di stucco il povero Troisi gufo-cerbiatto-tigre e infine minollo-rostocco che ribadiva incredulo “come… già ci stanno?”.
Ecco, l’hotel Gutkowski a Ortigia, cuore antico e pulsante di Siracusa, mi ricorda quello sketch. Uno pensa al mare a due passi, contornato da un dedalo di vicoli di pietra bianca? Ci stanno! Ad una ricca colazione a base di prodotti tipici, alle camere luminose e silenziose? Ci stanno! All’arredamento sobrio ed elegante, alla granita pomeridiana servita in terrazza sulla terrazza affacciata sul mare? Ci stanno! Al personale la cui attenzione al cliente va addirittura oltre la proverbiale ospitalità sicula? Ci sta! Uno pensa ad un rapporto qualità prezzo che non ha eguali? E ci sta anche quello!
In poche parole: l‘Hotel Gutkowski di Ortigia è davvero un piccolo hotel (25 camere) – “un luogo intimo e solare, nostalgico e confortevole”  – in cui capirete cosa significa poter vivere, almeno per qualche giorno, nell’Italia in 3B, bella, brava e buona.

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Raki, gelato vero a Sorrento

raki sorrento gelatoPremessa necessaria: la penisola sorrentina scorre nel 50% del mio sangue ed è uno dei miei luoghi dell’anima, un rifugio nella bellezza assoluta, da sempre e sempre lo sarà. Lungi da me, quindi, la sola idea di denigrare questa splendida terra e la sua operosa gente.
Ciò premesso, bisogna anche rilevare un dato oggettivo: laddove vi è turismo di massa la qualità media del cibo scende in maniera drammatica, perché ahimè l’offerta si omologa alla domanda (e in Italia dovrebbe essere il contrario!!!) e perché, doppio ahimè, le greggi di turisti hanno spesso palati poco raffinati e ancor più spesso poca capacità di scelta, visto che la vacanza è “tutto compreso”.
A questa regola la Sorrento – giustamente una delle località turistiche più famose al mondo – non fa eccezione. A meno che, ovvio, non si scelga di frequentare locali fuori mano – zone collinari o comuni limitrofi –  o grandi chef stellati (in penisola sorrentina ve ne sono ben nove!). Se invece venite fuori stagione… trovate tutto chiuso, vai a capire perchè!
E lo stesso vale per il mio amato gelato, che personalmente a Sorrento ho sempre trovato mediamente imbarazzante – come la pizza – almeno se confrontato con gli standard di Napoli o Roma, ma ovviamente più che accettabile per un palato inglese o statunitense.
Fino a che, qualche mese fa – e da quel giorno vi torno spesso in pausa pranzo – mi sono imbattuto, su consiglio di un amico, in RAKI, piccola ma sincera gelateria nel cuore di Sorrento… ed ho potuto assaggiare uno dei migliori gelati della mia vita.
Raki è il frutto dell’esperienza e della capa tosta (quando hanno aperto tutti dicevano che avrebbero chiuso, per la troppa concorrenza) di due amici (un nordista e un sudista) e della convinzione che per fare un ottimo gelato bisogna partire da ingredienti 100% naturali di primissima qualità e stagionali, che giustificano quei 50 centesimi in più rispetto alla media meridionale.
La fedeltà fiscale (nel senso che fanno sempre lo scontrino, cosa da non dare per scontato, neanche a Sorrento), il locale aperto anche fuori stagione, la disponibilità del personale (titolari inclusi) chiudono un cerchio perfetto che si sublima nei pochi gusti disponibili. Que viva Raki, il gelato 3B.. bello, buono e bravo!

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Capalbio: i tesori dell’albergo del lago

Albergo del Lago CapalbioSe qualcuno decidesse di scrivere un nuovo Viaggio In Italia, attraverso l’Italia come dovrebbe essere, potrebbe cominciare da qui, da questo angolo di centro penisola, a Capalbio. Un’idea non proprio originale, vista la fama di questo piccolo Comune del grossetano.
Ma io non mi riferisco al borgo medievale pieno di fiori, ne’ al mare pulito o alla campagna operosa, ma a un piccolo albergo di Capalbio Scalo, a pochi metri dalla stazione: l’Albergo del Lago.  
Ci sono stato, ad inizio della bella stagione, e vi ho trovato tutti i tesori che si auspica di trovare in un piccolo ma sincero albergo: proprieta’ italiana e gestione familiare, cortesissima ed efficiente al tempo stesso, camere pulitissime, silenziose e confortevoli, una colazione ottima e abbondante con tanti prodotti fatti in casa. Il tutto a un prezzo che dire conveniente e’ riduttivo.
Abbiamo anche avuto le bici gratis, e cosi’ abbiamo raggiunto in pochi minuti il mare (l’oasi di Burano e’ vicinissima), dopo aver scambiato quattro chiacchere con l’amabile ed energica proprietaria – che saluto e ringrazio caramente.
Se l’Italia assomigliasse a questo piccolo albergo in 3B, bello, buono e bravo,… saremmo probabimente salvi e di certo migliori!

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La Libera mozzarella: 3 volte ottima (finalmente!)

La fase finale della produzione della mozzarella LIBERA!

La fase finale della produzione della mozzarella LIBERA!   (foto: A. Corbino , 2014)

Sono da sempre uno dei sostenitori delle produzioni della cooperative di Libera Terra, come provano i miei articoli postati in questi anni. Ma ho anche da sempre sostenuto che queste cooperative devono trovare la capacità di stare sul mercato da sole.
La prima mozzarella Libera prodotta dalla Cooperativa sociale le Terre di don Peppe Diana, a Castel Volturno (Ce), ha visto la luce nel settembre 2012, dopo un paio anni di travaglio burocratico organizzativo.
Sarò sincero: la prima volta che l’ho assaggiata (dicembre 2012) sono rimasto deluso: era buona nelle intenzioni, ma non più di questo! Era un 6 per la buona volontà, troppo distante dagli standard della tanta ottima mozzarella di bufala prodotta in Campania. In breve: non poteva reggere il paragone con il mercato locale e l’unico motivo per cui la si poteva acquistare era la solidarietà con la causa.
Ma oggi no! Per fortuna la cooperativa ha capito che per stare su un mercato tanto competitivo è necessario fare un prodotto di altissima qualità ed ha assunto un mastro casaro con 40 anni di esperienza… e lentamente il miracolo è arrivato.
L’ultima volta che l’ho provata, pochi giorni or sono, la mozzarella di bufala di Libera si è rivelata finalmente degna di questo nome e posso affermare, senza tema di smentita, che è davvero ottima.
mozzarelladondianaE quindi ora può competere tranquillamente sul mercato. Anzi, dovrebbe sbaragliarlo, perché è 3 volte ottima, avendo le 3B: abbiamo appena detto che è superBuona, ma è anche Bella perché fatta solo con latte biologico certificato di bufala fornito dalla vicina azienda bufalina – fattoria didattica Ponterè di Cancello Arnone, che è uno spettacolo di armonia con la natura; ed è Brava, perché nasce dal coraggio e dall’impegno di chi produce in maniera onesta sui terreni confiscati alla camorra.
Vi invito a chiederla ai vostri fornitori o a contattare la cooperativa per informazioni su dove e come acquistare il vero GIUSTO della mozzarella.

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La migliore pizza napoletana? In Calabria!

pizzeria ristorante santa caterina gioiosa ionicaDa bravo napoletano campanilista sono da sempre scettico sulla remota possibilità di trovare una buona pizza napoletana fuori dai confini del capoluogo partenopeo. Alludo, ovviamente, alla versione originale e non ad alcuna delle tante varianti/imitazioni/adattamenti (a metro, al taglio, alla romana, focaccia, ecc.) buone e meno buone che popolano il globo.
Ma, alcuni giorni fa, sfidato dal mio amico calabrese Luca Ritorto, mi sono dovuto ricredere. Accomodatomi nel bel mezzo di piazza Plebiscito di Gioiosa Ionica (RC) – una dei pochi punti sopravvissuti alla cementificazione selvaggia che ha mortificato buona parte della splendida riviera dei gelsomini, della locride e della costa ionica – ai tavoli della pizzeria Santa Caterina, mi sono arricreato (trad: ho goduto non poco) mangiando una superba vera pizza napoletana. Pizza che, in più, ho scoperto avere altri pregi: fa dimagrire!… o almeno non mi ha per niente causato quell’insopportabile senso di gonfiore che invece porta la maggior parte delle pizze a chi è anche solo lievemente intollerante a lieviti e farine varie.
Il segreto? A parte ingredienti di prima scelta e la maestria maturata dal gioisano Enzo Multari, pizzaiolo capo e proprietario, in lunghi anni passati a far pizze in mezza Italia, sta nel lievito madre, in un mix di farine di prima qualità e nella lievitazione naturale.
Ma non finisce qui: il giorno dopo, tornato a Napoli, ero ansioso di fare un immediato paragone con una delle migliori pizzerie della città.. e il confronto, soprattutto alle luce del senso di gonfiore, l’ha vinto senza dubbio Gioiosa Ionica.

gelato pezzo duro gioiosa ionicaSapete cosa? Ci torno appena posso e, dopo cena, faccio dieci metri a piedi e nella stessa piazza finisco in bellezza con il famoso pezzo duro, ovvero un mattoncino di gelato a tre gusti (cioccolato, crema, nocciola/torrone), specialità artigianale di questo piccolo paese.

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